Nel caldo maggio francese del '68 lo slogan “vietato vietare” scuoteva il vecchio paradigma del mondo. Azioni e trepidazioni di cambiamento.
A maggio l'esplosione dei profumi primaverili fa dimenticare il buio dell'inverno.
Come è dolce l'intenso profumo di fiori. Anche a maggio, però, i fiori appassiscono. Il 9 maggio 1978 un fiore è morto, ma non come fanno tutti i fiori. È esploso con un sordo grido di dolore sui binari della ferrovia Palermo-Trapani. Dilaniato. Quel fiore era Peppino Impastato, assassinato dalla mafia.
Maggio è un mese cruento. Di passioni. Riflessioni.
Perché morire? Perché morire proprio di mafia? Domande indissolubilmente fuse nell'atavica ricerca dell'essere umano. Perché vivere? Come?
Nell'antropologia filosofica Socrate distingueva l'agire umano in un piano fattuale, empirco, e in un piano trascendentale, pura astrazione. Il piano dell'esistenza di Peppino era delicato. Vivere nell'aspra Sicilia del dopoguerra, in una famiglia legata al boss di Cosa Nostra locale. Il suo piano empirico era pregno di una soffocante cultura mafiosa che ingabbiava in una morsa omertosa il vivere quotidiano.
Come è vivere in un contesto ascritto dalle regole della criminalità organizzata? “Mio padre, capo del piccolo clan e membro di un clan più vasto, con connotati ideologici tipici di una civiltà tardo-contadina e preindustriale, aveva concentrato tutti i suoi sforzi, sin dalla mia nascita, nel tentativo di impormi le sue scelte e il suo codice comportamentale.” dice Peppino.
Lui, però, aveva un'altra idea. È il piano dell'essenza che fa la differenza. È l'essenza. Che indica cosa l'uomo dovrebbe fare. Cosa diventare. C'è da ricordarsi dell'uomo come essere pensante, che riflette su se stesso. Un soggetto che si guarda come oggetto. Un'anima che pensa dove il suo corpo e le sue azioni devono andare.
Non ci vuole tanto coraggio. Basta avere degli ideali. E coerenza. Il coraggio, si, quello ce l'ha avuto Peppino. Il coraggio di vivere per le proprie idee. Di farle volare. È stata l'idea di una terra libera dall'asfissiante oppressione mafiosa, l'anima della sua essenza. Portata avanti con l'azione nel partito, nei movimenti studenteschi, in Lotta Continua. L'ha fatto anche tramite Radio Aut dando voce ai lavoratori, ai disoccupati, agli oppressi e ai cittadini stanchi di subire uno mondo imposto da altri. Una libera informazione in una società insabbiata nel tradizionalismo. E nella mafia.
A pensarci bene, non sembrano così lontani quegli anni.
Il 1978 è oggi. O almeno lo è nella sua parte peggiore. Le idee, le persone che le incarnavano e il desiderio di cambiamento sono stati ammazzati dal logorio del tempo, dalla paura degli anni di piombo, dalle stragi di stato, dalla coltre nera del consumismo. E dalla mafia. Una piovra che è entrata nelle istituzioni. Che ha drogato l'economica.
O dolci colline marchigiane, in questo giulivo maggio, vi sentite immacolate?
Povere sciocche. Vi sembra così lontana la Sicilia?
Ricordatevi, la piovra è onnivora. Droga , estorsioni , latitanti, rapine. Di più. La mafia si è fatta sistema. Scordatevi terre marchigiane di vedere coppola e lupara nei vostri borghi. Come dice Roberto Saviano, per le organizzazioni criminali il business è l'unico imperativo. E gli affari non trovano confini regionali. Dal paradigma onore, potere e denaro, si è passati a quello dei soldi uguale potere. Denaro in cambio di merci per produrre altro denaro. Ancora di più. Denaro investito in azioni per auto riprodursi nell'infinito crogiolo del capitalismo. Già, la chiamano evoluzione umana.
La piovra nera è insaziabile. Quel giorno di maggio quel fiore non è soltanto morto. Alla collettività tutta è venuto a mancare una speranza di cambiamento. Per questo, oggi, voglio ricordare un vero uomo. Peppino Impastato. Domani, invece, c' è bisogno di impegnarci a portare avanti le sue idee.
dal grembo della terra nera,
fiore di campo cresce
odoroso di fresca rugiada,
fiore di campo muore
sciogliendo sulla terra
gli umori segreti.
(Peppino Impastato).
Andrea Germondari
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