11/09/10

Rajudu multietnico. Cucina e folclore de nojatri.

Un'entità si aggira nel circuito cittadino dei pensieri. Ad un tratto si ferma. Un dubbio le fa arricciare la fronte. È Sciarada. Osserva una città piena di colore e di facce nuove. Vede il natale paese di campagna trasformarsi in un piccolo crogiolo multietnico. È la grande novità di vivere tra cinquantacinque nazionalità diverse, compresa quella italiana, a porre il soggetto nella profonda riflessione.
Dove sta il Benin? Che significa burqa? Da dove arrivano le cipolle pakistane?
Nuove domande che pongono Sciarada a chiedersi come si fa a vivere nella società multiculturale. Già, come si fa?
Non dovrebbe essere così difficile. Scopre, infatti, che Corridonia è stata popolata anticamente dai piceni e dai romani poi, formata nel medioevo da longobardi, greci e latini, popolata via via da Cerquetani, albanesi ed ebrei (1). Corridonia, e i corridoniani, sono dalle loro origini figli di una commistione di popoli diversi. Come tra l'altro lo è la specie umana dalla notte dei tempi. Le migrazioni sono, quindi, una peculiarità che caratterizza la nostra cittadina tanto da averne modellato il tessuto sociale locale, cambiato la conformazione urbana e modificato la vita di campagna. È anche grazie ad esse che la città si è sviluppata economicamente (2).

Come è stato possibile? Bé, gli uomini hanno le radici, sociali si intende, ma non sono degli alberi immobili. Migrando e migrando ancora hanno messo in moto le loro conoscenze e le loro culture contribuendo all'evoluzione della società. Un dinamica sociale vecchia come il mondo. È così che, con uno sguardo a ritroso, Corridonia ritorna nel presente ad essere una città multietnica.
Non è tutto rose e fiori. Ai problemi correlati alle immigrazioni del passato, come la diffidenza dei nuovi arrivati, la segregazione spaziale e sociale, si aggiungono di nuovi. Delle leggi securitarie strozzano la vita legale dei migranti che per entrare in Italia devono essere sponsorizzati da aziende che però non li conoscono, alla lentezza burocratica che fa aspettare i migranti tempi interminabili per il rilascio dei documenti, dalla richiesta della leggi di alloggiare in case adeguate al numero dei familiari a fronte dei loro bassi stipendi, al fatto che rimangono imprigionati per mesi senza aver commesso reati per la sola identificazione. Inoltre, mentre economicamente subiscono sfruttamenti, soprattutto per coloro che non hanno un permesso o che lo stanno ancora aspettando, i partiti e i media compiacenti convogliano il discorso sullo straniero verso una soggetto irregolare e criminogeno per meri interessi elettorali. Le campagne razziste e xenofobe che ne conseguono, infine, aumentano le distanze sociali con la popolazione autoctona.

L'elenco dei problemi che attanagliano uomini fuggiti dalle loro case per cercare di sostenere la propria famiglia in un nuovo paese potrebbe dilungarsi per pagine. Pagine di addii e di tristezza. Quello che, invece, Sciarada ha pensato di fare oggi è diverso. Pensare al tema dell'immigrazione trattando gli elementi che accomunano i popoli di Corridonia. Semplicemente perché ciò che ci unisce è di più di quello che ci divide.
I mezzi, comunicativi, che Sciarada vuol utilizzare per parlare dei migranti sono la cucina, le tradizioni musicali e la danza. Dei canali universali che possono portare lo scambio delle conoscenze tra le varie culture favorendo l'integrazione tra i migranti e la popolazione autoctona. Puntare alla conoscenza reciproca, uno requisito fondamentale per poter superare i timori della diversità etnica e abbandonare i pregiudizi negativi, è quello che Sciarada si propone di fare. Perché i collanti sociali sono sotto i nostri occhi. Li utilizziamo quotidianamente, soltanto che lo facciamo separatamente. Non è difficile. Basta semplicemente prenderne coscienza e guardare verso l'altro.

I collanti sociali, la reciproca conoscenza e l'integrazione sono i contenuti del progetto di Sciarada “Rajudu multietnico. Cucina e folclore de nojatri”.
Con la prima parola, che deriva dal nostro dialetto maceratese, si vuol evocare un cultura lontana dal vivere delle città contemporanee. Una cultura che è vicina a noi. Lu rajudu era una pratica sociale della vita di campagna marchigiana coltivata con il sistema della mezzadria nella quale hanno vissuto i nostri avi, i nostri nonni e i genitori dei più giovani, come noi che stiamo scrivendo. Tale pratica trovava come fulcro centrale il reciproco aiuto dei vicinati, degli amici e dei parenti per i bisogni della povera vita di campagna. In particolare con il rajudu ci si aiutava nei periodi dei grandi lavori agricoli, come la vangatura, la mietitura e la vendemmia (3). Il rajudu era, però, anche qualcosa di più. Pervadeva l'aria delle contrade e dei vicoli di paese emanando. Un'aria di solidarietà e di rispetto che rendeva la vita un po' più facile. E un po' più felice.
La seconda parola del progetto, invece, ci fa calare nella modernità fatta di tanti colori quante sono le etnie presenti. Con l'aggettivo multietnico si ricontestualizza l'antico medium di mutuo soccorso sociale della nostra tradizione locale con le realtà della società odierna. Il rajudu multietnico è, quindi, la chiamata delle diverse etnie ad aiutarsi reciprocamente a realizzare una integrazione sociale condivisa. Ancora di più. Vuole essere il tentativo di un'esperienza sociale simile a quella del passato dove non avvenivano distinzioni fra le persone del quartiere-contrada. Dove ognuno aveva il diritto di essere aiutato dal vicinato e il dovere di aiutare a vicenda. In quanto rappresenta il prossimo. In quanto è uomo pieno di dignità e non straniero.

Si può vedere il nuovo rajudu come una sorta di esperimento sociale. Magari stravagante. Folkloristico a tratti. Ma pur sempre un esperimento d'integrazione che fonda le radici su una tradizione che ci identifica, che conosciamo da vicino.
Il rajudu è, così, un progetto che parte dalla conoscenza reciproca dei stili di cucina e dei folclori de nojatri. Con il nojatri si vuole lanciare una nuova prospettiva di identificazione sociale costituita da noi, corridoniani di origine italiana e non, in quanto viviamo in un contesto multiculturale che ha modificato la nostra essenza e anche la percezione di cosa siamo. Il "noi" vuole inglobare la concezione degli italiani e degli stranieri in un unico corpo. Un noi che, se venisse pensato, prima, e  pronunciato poi in maniera cosciente da tutti può trasformare la realtà.

Già la realtà. A volte cinica e spietata. Se si usasse, però, la forza unitaria del nojatri insieme alla conoscenza reciproca si potrebbe renderla nuda. Per poi vedere la bestia. La belva che è in mezzo a noi. Che, anzi, è creata da noi: la paura.
Una bestia potente, che ha una grande forza di aggregazione. Il timore di un qualcosa, infatti, rende unite le persone che vivono l'esperienza di pericolo. Una paura che atavicamente era rappresentata dai pericoli naturali, ma che poi si è impersonificata in qualcuno (4). O in qualche gruppo nel nostro caso. Accade così che oggi la paura verso gli stranieri, visti come unico gruppo nemico, unisca fortemente coloro che li temono. Tale bestia alimenta un circuito perverso che porta alla nascita della xenofobia. Anche del razzismo in case estremi. Due ideologie e pratiche che la nostra “civile” società dovrebbe, invece, temere. Che, anzi, deve espellere dai propri confini.
Le vie per farlo, però, non sono semplici condanne fatte a chiacchiere. È con la conoscenza del gruppo di cui si ha paura, con un reciproco scambio di comunicazione e l'apertura verso l'altro che si può imboccare il cammino di una pacifica integrazione.
È questo l'obiettivo finale del progetto “Rajudu multietnico”. Un'integrazione sociale condivisa. Un'integrazione non percepita come assimilazione dell'altro. Ma come un lungo processo bidirezionale che chiama in causa i migranti e la società autoctona. Da un lato si deve sottolineare la responsabilità della società autoctona ad assicurare la salvaguardia dei diritti formali dei migranti in modo tale che questi ultimi abbiano la possibilità a partecipare alla vita economica, sociale, culturale e civile. Dall'altro, risulta indispensabile che i migranti rispettino le norme e i valori fondamentali della società ospite e partecipino attivamente al percorso d'integrazione, senza peraltro dover rinunciare alla propria identità.

Identità. Integrazione. E conoscenza. Queste non vogliono essere semplicemente delle parole su un foglio di carta. Queste sono, invece, delle parole che Sciarada vuol sentire pronunciare a Corridonia. Iniziando col Rajudu multietnico.

(1) Statuto comunale. Premessa, origini dell'antico comune
(2) Principi, C., Gli albanesi a Montolmo, Corridonia notizie anno I, numero 1, giugno 1991
(3) Principi, C., Contadinate Marchigiane. Tentativi di poesia dialettale e appunti sulla ruralità del passato (1972-74), Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata, Pollenza, 2000.
(4) Bellei, C. M., Violenza e ordine nella genesi del politico. Una critica a René Girard. Edizioni Goliardiche, Trieste, 1999.

Nessun commento: