Uscire di casa con
cinquemilalire. Andare a caccia di supergommose e rotolare nelle
salette dei videogiochi. Passare da un fumoso bar all'altro e
rendersi conto che sui muri si aggrappano, soltanto, poster di muse
con vestiti succinti. E le pubblicità del Campari.
Nel serendepico
cammino sui ciottoli del centro, entro in un locale che ha muri
dipinti di suoni diversi. Pareti frastagliate da montagne di
bucciato, dove riposano polverose targhe di società lontane.
Artieri. Operai. E consorelle.
Figure e sensazioni
che evocano un passato fiero ed amichevole. Un immaginario desueto
che, però, ancora riesce a scaldare questo presente, trasportato
sulle onde del tempo dal ligneo bancone scolpito, almeno nella mia
mente, con forme di vascello.
E tra il bancone e
le targhe, gallerie profumate a cantina sfociano in una mostra
temporanea e perenne di quadri d'arte che neanche fossimo in un
museo. Arte strana per lo più, uomini di latta con gambe di
forchette, un'acatodica televisione in cartone e foto di paesaggi
ignoti impressionate in un colorato bianconero.
Mi preme riportare
al lettore di questo cammino di storie vissute che, nella Corridonia
degli infiniti accanimenti calcistici ai bar e le balorde scorribande
di giovani allegri col cinquantino, queste cose non andavano e non
vanno per la maggiore.
I primi passi nel
S.O.M.S. erano felicemente ballati. Con i compagni di merende e di
bevute, e i Mauri e le Eve gaiamente al bancone. In un susseguirsi
dei concerti, spesso con musica bizzarra per davvero, di economiche
ma abbondanti cene sociali, di mostre e d'incontri anche di quarto
Stato. Dentro a quello che appare uno sgabuzzino di via Procaccini
50, vedevo un porto culturale riempire di idee, emozioni e persone la
mia cittadina appiattita nella sequenza casa-bar-lavoro-chiesa.
Scrutavo con gli
occhi di un alieno idee e metodi di tanti piccoli corpi che
preferivano, consapevolmente o meno, avvicinarsi ad una collettività
dallo sguardo rivolto alla stagione del mutualismo. Piuttosto che
abbandonarsi alla totalizzante logica del capitale ed il suo
appiattimento all'imperante dicotomia profitto-non profitto.
Osservavo, in
movimento, emozioni trapassate nelle carni da parole sonore e
visuali. Che solleticano la mente con un barlume di riflessione. Con
luci di pensieri, laici per intenderci, che alimentavano il vivere
sociale corridoniano con bagliori di molteplici forme ed intensità.
Bado nel dare a
tutti loro un colore eccezional rivoluzionario. Ma, tutti loro sono,
semplicemente, altri rispetto al disarmante contesto. Immerso nella
trappola della quotidianità. Per non menzionare di quello illuminato
dall'accecante e veloce paga dell'individualismo.
Guardavo con sguardo
ammaliato una distesa di persone, intendo quelle che sanno la
differenza tra la S.O.M.S. e un circolo di canasta, legate in una
trama di mani solidali, fitta in alcuni momenti e lunga incredibili
chilometri in altri. Una rete di relazioni, talvolta divise dalla
contingenza e dalla spinta ad emigrare alla ricerca di un maledetto
lavoro, ma comunque profonde e vive. Allacciate alla rassicurante
pratica del mutuo soccorso. O alla parola operaio. Sicuramente a
quella calda di società.
Qualità e quantità
insomma. Perché i numeri apparentemente possono sembrare esigui
nella perpetua saga dei rapporti di forza, ma sono in grado di
sbocciare a macchia di leopardo in un variopinto affresco che collega
Colbuccaro con Torino con l'Australia. Dagli esiti incerti, ma,
scusate se poco in questi anni grigi di crisi, pittoreschi.
E così, a forza di
sbarchi, i messaggi si sono catalizzati. Lentamente e confusamente si
sono sedimentati con altri affluenti in un profumato strato di humus.
Si sono trasformati, scontrandosi in improbabili pensieri, in una
fiorita e strana alchimia di vecchie amicizie e nuovi bisogni. È
nato il cantiere aperto SciArAdA. Un ricettacolo di idee popolato dai
tarli del dubbio che disegnano un pasticcio di stili. O almeno ci
provano. Lentamente ovviamente.
Partendo dalla
figura dell'altro.
Il nuovo aggregato
ha sentito, insieme all'immaginario d'idee ed emozioni degli attori
somsici, di odorare come un alieno sociale nell'intestino di una
città che non ha il libretto d'istruzioni di questo altro. E non lo
va di certo a cercare.
L'altro, Corridonia,
volge lo sguardo, nell'infinita formazione di cerchie sociali in cui
abitare, verso un ulteriore ed immancabile altro. Gli immigrati per
adesso.
L'altro che da
sempre delimita spazi simbolici, determina un noi con la semplice
evocazione del voi ed impone un perenne interrogarsi. Indubbiamente
riconoscendo l'importanza prioritaria di creare e sostenere un noi
dentro ad un luogo. Immancabilmente generando ulteriori alterità che
caratterizzano frammentando la vita della città in un microcosmo di
piccoli e grandi alveari.
Oltre all'altro c'è,
dannatamente e amabilmente un altro.
E con una
strutturata idea sognatrice SciArAdA sta provando a far incontrare
due dei tanti altri. Due parti che talvolta si respingono senza mezzi
termini o peggio senza proferir parola con la facile scappatoia
dell'inerzia, ma che indissolubilmente compongono le stesso insieme
cittadino. Festeggiando, umilmente e sommamente, la giornata madre
dell'essenza democratica e repubblicana nazionale: la Liberazione dal
nazifascismo. Unendo il noi, antifascisti, con la copiosa schiera
degli altri disinteressati e degli altri indifferenti che non
parteggiano. Come direbbe qualcuno. Tramite una continua ricerca di
approcci di discussione che collegano ogni nuovo 25 aprile con quello
originario. Usando pratiche comunicative che avvicinano i corpi e le
idee del noi con quelle distanti degli altri. Riappropriandosi dal
basso di spazi pubblici con l'intenzione di ricoprirli, nel tempo, di
una spessa patina identitaria che raffigura l'alto contenuto dei
principi della Liberazione.
È proprio una
liberazione festeggiare la Liberazione. Specialmente con un noi
supportato dalla prodigiosa compagine della S.O.M.S. nella giornata
del 25 aprile e nella sua preparazione oliata dalla mutualistica
trama relazionale e dall'aiuto tecnico-morale. Ulteriormente conditi
da due Cene SciArAdiCHE nella mensa culturale somsica.
Nella prima cena, il
quattro giugno duemiladieci, abbiamo ringraziato coloro che in natura
spontanea o gentilmente forzata hanno dato forma materiale alla
festa, mentre si condivideva con gli altri presenti il passaggio del
gruppo sciaradico da entità metafisica ad associazione di fatto.
Quest'ultimi, i
passanti, sono stati spinti a far capolino nel labirinto di tavolini
di via Procaccini dalla curiosità della nuova aggregazione in
movimento nella terra di sodalizio. Ai primi, volontari, invece,
premeva di più, giustamente, essere riveriti iniziando così
un'auspicabile lunga collaborazione sulla base di un straordinario do
ut des. Lavoro sudatamente gratuito in cambio di un caloroso
ringraziamento che riempie i cuori. In nome di un qualcosa
materialmente non scambiabile che ci rende uniti. E felici.
E con questo condito
antipasto di umori d'intenti, poi, il corpo della cena è stato messo
a tavola dalla sapienza del mastro cuoco Slash e alacramente bagnato
da succhi d'uva di ogni color rosso che hanno condotto i commensali
fino al tripudio finale di torte e crostate. Che neanche fossimo ad
una festa per bambini.
Molti bambini ed
aspiranti tali, prevalentemente autoctoni, invece, piacevolmente sono
andati alla scoperta di una S.O.M.S. aperta ai soci ed ai collettivi
compagni d'avventura. Luogo generalmente classificato come altro che
poi, alla fine, così tanto alieno non è.
E continuando con
spruzzi di vino da ogni direzione, il concerto dell'autore
civitanovese Francesco Bigoni con la sua compagine ha mosso,
essenzialmente in maceratese ma anche in una lingua incomprensibile
per queste parti, l'italiano, le danze dei tanti che festeggiavano la
nascita nel grembo della S.O.M.S. della nuova associazione.
Anche nella seconda
Cena SciArAdicA, in un fragorosamente bagnato tredici aprile
duemiladodici, il leitmotiv dell'autofinanziamento per i
festeggiamenti del 25 aprile ha popolato le gallerie via Procaccini.
Con una classica cena economica, come l'operaia tradizione del luogo
vuole, a base di panzarotti ripieni fatti a mano, polpette e spiedini
anche fatti a mano e pasta al forno scultorea del segretario cuoco
Slash.
L'aria conviviale
pregna di un allegro profum d'aglio veniva all'uopo accesa da un
esagerata lotteria condotta da Mirco Moriconi. Arrampicamenti
concettuali e risa sparpagliate accompagnavano i vincitori dei premi
proto-culturali ed etilici durante la serata di pioggia.
<<Cominciando dal decimo premio, come se dice in inglese
chain workers? ... Lavorare nelle cattedrali del
consumo?!...........>>. Un silenzioso allargamento delle
braccia espanse l'ilarico senso del piacevole momento. <<
'Rganizzatori, qual'è il nono premio?>>,<< 'natru
libru???........>>. <<Ammò so capito perché la
jente non comprava li viglietti!>>.
<<Comunque
è “L'orto della zingara”>>. E tra le mascelle in
compressione arrivava un spassionato e sincero <<questo ve
lo consiglio vardasci...>>.
Poteva mancare, ma
poi ne avremmo sentito la necessità, quindi c'è stato, il premio
della giuria “Palma condizione becera”: una bottiglia di Gotto
d'Oro bianco, apprezzato soltanto dagli intenditori. Non sto qui a
dilungarmi sulle sue indiscusse proprietà tanniche. A buon
intenditor, pochi bicchieri.
Così nel finir che
ha iniziato le danze, il condimento musicale è stato assicurato da
Paolo Jacoponi, selector non improvvisato ma col tempo, anche nella
S.O.M.S., autoformato.
E così, al calar di
questa piccola storia, ritorniamo al suo apice con un sobbalzo. Non
conoscevo la società operaia. Ma ho la sensazione di non aver
sbagliato porta. Lasciamola sempre aperta.
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